Lamine cellulari allologhe per il trattamento di ulcere diabetiche: uno studio pilota

Introduzione

Il problema delle complicanze correlate al diabete mellito rappresenta, sia dal punto di vista epidemiologico sia dal punto di vista economico-sociale, di ampissima portata.

Si stima infatti le persone affette da diabete mellito abbiano un rischio di sviluppare ulcere croniche su base diabetica dal 10 al 25% durante il corso della vita. In particolare, per i pazienti affetti da diabete mellito di tipo II, è stato inoltre calcolato che il rischio di andare in contro ad un intervento di amputazione dell’arto inferiore è 23 volte superiore rispetto a persone non affette da diabete.

Le ulcere diabetiche croniche difatti rappresentano una causa importante di morbidità, ospedalizzazione ed un costo finanziario enorme.

Il trattamento di tale patologia richiede, come stabilito dall’International Working Group on the Diabetic Foot (IWGDF)[i], una gestione multidisciplinare che si occupi di: controllo della glicemia, vascolarizzazione delle estremità, evitare il carico nelle sedi ulcerate, pulizia chirurgica del materiale necrotico, controllo dell’infezione locale e collaborazione del paziente[ii].

Fortunatamente, il trattamento medico-chirurgico delle ulcere diabetiche che non mostrano tendenza alla guarigione ha giovato, nell’ultimo decennio, dell’introduzione di diversi prodotti dell’ingegneria tissutale sia tipo cellulare che acellulare[iii].

Dalla fruttuosa collaborazione tra il Centro di Vulnologia degli Istituti Clinici Zucchi di Monza (Direttore: Dott. M. Brambilla) e la Cattedra di Chirurgia Plastica degli Università degli Studi di Milano (Direttore: Prof. L. Vaienti), è nato uno studio clinico innovativo per il trattamento di ulcere diabetiche croniche, refrattarie ai normali trattamenti.

Studio

16 ulcere croniche degli arti inferiori sono state trattate con l’impiego di lamine cellulari di cheratinociti allogenici (ossia da donatore), basate su un supporto di acido ialuronico, le cui proprietà di stimolazione dei processi granulazione e di modulazione della produzione di collagene sono ormai ben note.

Tutti i pazienti sono stati seguiti attraverso un rigido protocollo di raccolta dati di tipo anamnestico, clinico e biochimico.

L’applicazione del prodotto, dopo pulizia chirurgica della lesione ulcerativa, è stata seguita da un periodo di osservazione variabile dai 40 ai 70 giorni, caratterizzato da controlli e medicazioni settimanali.

Dalla valutazione del fondo della ferita secondo la scala di Falanga et al., dalla valutazione delle secrezioni della ferita e dalla ripetute analisi colturali di tipo batteriologico, sono emersi dati molto incoraggianti circa questo tipo di trattamento[iv].

Infatti, circa il 38% delle ulcere è guarito completamente in un periodo medio di 42 ± 16 giorni. La riduzione media delle dimensioni delle ferite è stata del 70% ed il fondo della ferita ha mostrato un miglioramento medio del 52%.

Sebbene questi dati siano significativi dal punto di vista clinico, rimane tuttora da indagare il vero meccanismo di azione attraverso cui queste lamine inducono la guarigione delle ferite. Infatti, come dimostrato da valutazioni del DNA di lamine allogeniche applicate, si è visto che un vero “attecchimento” come negli innesti autologhi non si verifica[v]. Di conseguenza, il meccanismo d’azione consiste probabilmente nel rilascio di fattori di crescita, proteine della matrice extracellulare e attrazione/differenziazione delle cellule staminali nel microambiente della ferita[vi].

Questo studio clinico ha mostrato, oltre ai risultati promettenti in termini di riduzione delle dimensioni delle ferite e miglioramento del fondo delle stesse, anche ottime caratteristiche di tollerabilità e sicurezza del prodotto. Inoltre, in caso di infezioni locali di tipo lieve o moderato, i cheratinociti allogenici hanno mostrato buona resistenza alla colonizzazione batterica[vii].

Conclusioni

Pertanto, questo tipo di prodotto bioingegnerizzato potrebbe rappresentare un’ulteriore possibilità di trattamento nell’ambito della gestione del piede diabetico, da considerare come linea di seconda scelta in caso di fallimento di trattamenti tradizionali.

Ovviamente, a questo studio dovranno seguire successivi trial clinici randomizzati, controllati e dotati di più ampie casistiche; tutto ciò col fine di aumentare la comprensione dei meccanismi di funzionamento e la valutazione precisa del rapporto costo-efficacia di questi prodotti bioingegnerizzati.

Autori: Luca Vaienti, Marco Brioschi, Andrea Marchesi

 

Bibliografia


[i] Game FL, Hinchliffe RJ, Apelqvist J, Armstrong DG, Bakker K, Hartemann A et al. Specific guidelines on wound and wound-bed management 2011. Diabetes Metab Res Rev 2012;28:232–3.

[ii] Bakker K, Apelqvist J, Schaper NC: Practical guidelines on the management and prevention of the diabetic foot 2011. Diabetes Metab Res Rev 2012;28:225–231.

[iii] Iorio ML, Goldstein J, Adams M, Steinberg J, Attinger C. Functional limb salvage in the diabetic patient: the use of a collagen bilayer matrix and risk factors for amputation Plast Reconstr Surg. 2011;127:260-7.

[iv] Falanga V, Saap LJ, Ozonoff A. Wound bed score and its correlation with healing of chronic wounds Dermatol Ther. 2006;19:383-90.

[v] Brain A, Purkis P, Coates P, Hackett M, Navsaria H, Leigh I. Survival of cultured allogeneic keratinocytes transplanted to deep dermal bed assessed with probe specific for Y chromosome. BMJ 1989;298:917-9.

[vi] Lazic T, Falanga V. Bioengineered skin constructs and their use in wound healing. Plast Reconstr Surg 2011;127:75S–90S.

[vii] Maier K, Ehrhardt G, Frevert J. Antibacterial activity of cultured human keratinocytes. Arch Dermatol Res 1992;284:119–21.

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